Breve storia e note botaniche sulla pianta
Chiamata anguria nelle regioni del nord e cocomero o melone d’acqua in quelle meridionali è pianta originaria dell’Africa tropicale.
Era già conosciuta dagli antichi Egizi che la coltivavano lungo il Nilo. Successivamente fu introdotta nel bacino del Mediterraneo e si diffuse nel nostro paese all’inizio dell’era Cristiana.
Oggi è largamente diffusa in tutto il mondo, sia nella fascia tropicale che in quella temperata-calda, per i suoi grossissimi frutti pieni di una polpa molto acquosa, dolce e rinfrescante.
A livello mondiale la coltivazione dell’anguria interessa 1 milione e 500.000 ettari e in Italia ha ampia diffusione ed è coltivato in pieno campo o in coltura pacciamata su più di 18.000 ettari.
Caratteristiche botaniche
Pianta erbacea annuale costituita da uno stelo che rapidamente si ramifica in altri steli striscianti sul terreno, lunghi fino ad alcuni metri, muniti di viticci.
Le foglie sono spicciolate, grandi con lembo ampiamente lobato, di colore verde olivastro.
Le radici sono molto sviluppate soprattutto in superficie ma anche in profondità.
Di norma la pianta d’Anguria è monoica, ossia porta fiori maschili e femminili separati, anche se non mancano casi di varietà andromonoiche con fiori maschili e fiori fertili ermafroditi sulla stessa pianta.
I fiori maschili compaiono per primi e superano in numero quelli femminili in un rapporto di 7:1.
Per una buona riuscita della coltura l’impollinazione è fondamentale e avviene per via entomofila (api e insetti pronubi) . L’allogamia è la regola, dopo 40-50 giorni dalla fecondazione i frutti raggiungono la completa maturazione.
Il frutto del cocomero è un peponide il cui epicarpo, mesocarpo ed endocarpo sono saldati insieme, in esso si distingue la “buccia”, esternamente liscia e coriacea, e la “polpa” che riempie totalmente il frutto nella quale sono immersi numerosi semi appiattiti, del peso di 35-100 mg.
In alcuni paesi questi semi vengono salati, tostati e consumati come “snack”. L’aspetto, la forma e le dimensioni dei frutti sono assai variabili con la varietà e le condizioni di coltura: il peso di un frutto varia da 2 a 15 Kg, la forma è sferica o allungata, il colore esterno è verde-chiaro, verde scuro o con striature dei due colori, la polpa è generalmente rossa, ma esistono anche tipi a polpa gialla o bianca.
Esigenze climatiche ed Ambientali
L’anguria ha esigenze termiche assai elevate: la temperatura minima di germinazione è di 15 °C, il che impone di seminarlo solo a primavera avanzata (aprile-maggio) per essere raccolto in piena estate. Poiché le produzioni precoci hanno un valore economico molto elevato, il cocomero si coltiva spesso in campo in coltura semiforzata: la più semplice forma di forzatura è la pacciamatura del terreno con film plastico, una forma più intensiva prevede, oltre alla pacciamatura, la copertura delle file con piccoli tunnel anch’essi di film plastico. L’effetto termico di queste coperture nelle prime settimane di crescita consente di anticipare di diversi giorni l’inizio della raccolta e farne una vera primizia.
Data la scarsa piovosità durante la stagione di crescita, l’irrigazione è quasi sempre indispensabile. I terreni più adatti al cocomero sono quelli fertili, profondi e sciolti, o per tessitura o per ottima struttura.
Caratteristiche varietali
Le caratteristiche che definiscono il valore di una varietà di anguria sono:
– precocità,
– contenuto zuccherino,
– pezzatura rispondente alle esigenze del mercato,
– resistenza al trasporto e alla conservazione,
– resistenza a malattie (Fusarium e Antracnosi, distinte dalle sigle F e A),
– uniformità e produttività.
– Le varietà più coltivate in Italia sono la Sugar Baby e la Crimson Sweet, ottime sono la quarantina o la cinquantina e il cocomero di Pistoia e di Faenza.
Concimazione
Le esigenze che la concimazione con il compost deve fornire in azoto sono molto elevate: da 100 a 170 Kg/ha, in fosforo da 80-100 Kg/ha di P2O5 e in potassio di 100-130 Kg/ha di K2O.
Le tecniche colturali
L’anguria è una buona coltura da rinnovo che, però, non dovrebbe ritornare sullo stesso terreno prima di 5 anni per ridurre i rischi di attacchi parassitari. L’impianto si fa con semina diretta in campo o con trapianto di piantine allevate in fitocella, il primo metodo è quello che si adotta sia per la coltura in pieno campo sia per la coltura forzata, il secondo solo per la coltura forzata per anticipare ulteriormente il momento della raccolta.
Un sistema di semina molto usato è di seminare vicini 4-5 semi per poi diradare le piantine nate lasciandone 2 per ogni postarella.
Esige ottime lavorazioni, discature da eseguire per tempo nei terreni argillosi, e buon affinamento del terreno con gli erpici.
Distanze e sesti d’impianto
Visto il portamento e la lunghezza degli steli il sesto d’impianto è alquanto largo: molto comune per le varietà tradizionali a grande sviluppo è quello di 2-3 m tra le file e 1,5-2 m tra le postarelle, in modo da realizzare una fittezza di 0,3-0,5 piante a mq, con le varietà nuove a frutto piuttosto piccolo la fittezza può essere alquanto superiore, realizzata, ad esempio, distanziando di 1 metro per 1 metro le postarelle.
Nel caso di coltura pacciamata il film plastico trasparente viene steso dopo la semina e, giunto il momento, il diradamento si esegue attraverso tagli opportunamente fatti sul film.
La quantità di seme necessaria è di 3-5 Kg/ha.
Il controllo delle infestanti nelle colture in pieno campo si fa con ripetute sarchiature finché lo sviluppo della coltura lo consente.
Nel caso di pacciamatura con film trasparente la sarchiatura va ripetuta più volte prima dell’applicazione della copertura.
Quando si arriva alla quarta foglia si usa cimare il tralcio per favorire l’emissione di getti ascellari dai quali ottenere più frutti che, comunque, non dovrebbero essere più di 3 o massimo 4 per pianta. Oltre questo numero è opportuno un loro diradamento.
Quando il costo della manodopera lo consente i frutti che hanno raggiunto il chilo di peso, circa, vengono sollevati dal contatto diretto del terreno interponendo tra loro e il suolo della paglia , inoltre, per ottenere frutti di forma più regolare e con una più uniforme maturazione, si usa ruotarli periodicamente.
Per questa coltura non si può prescindere dall’irrigazione, specialmente quando il cocomero è stato trapiantato (per la minore profondità del suo apparato radicale).
Il massimo fabbisogno in acqua si ha all’allegagione dei fiori fino all’ingrossamento dei frutti. Due settimane prima della raccolta l’irrigazione va sospesa per favorire la concentrazione degli zuccheri nei frutti.
Nel caso di coltura pacciamata l’irrigazione si fa mediante manichette forate o ali gocciolanti che vengono piazzate sul terreno prima di stendere la copertura.
Produzione e raccolta
I frutti sono pronti per la raccolta 4 mesi circa dopo la semina, particolare attenzione deve essere fatta nell’individuare i segni della maturazione (invero non molto evidenti ai non esperti) per non raccogliere cocomeri immaturi. I sintomi più evidenti sul frutto sono: disseccamento del peduncolo e del cirro che lo accompagna, suono cupo e sordo alla percussione, scomparsa totale della pruina che ricopre il frutto immaturo.
Difesa e parassiti
Le malattie che attaccano la pianta di Cocomero sono numerose; quelle più dannose sono alcune micosi tra cui la peronospora (Peronospora cubensis), l’antracnosi (Colletotrichum orbiculare), le tracheofusariosi (Fusarium spp.) e il genere Pythium. La difesa si attua con trattamenti preventivi di equiseto e con prodotti rameici negli stadi giovanili della crescita. Più rari sono gli attacchi ad opera di insetti parassiti dannosi.
Biodinamica
Con questa coltura molto esigente si deve porre particolare attenzione alla concimazione preparando nell’anno precedente ingenti quantità di compost vegetale e letame, introdurre i preparati da cumulo per 2 volte successive ed avere una maturazione variabile da 8 mesi ad un anno.
Usare il cornoletame alla semina e ancora dopo 2 settimane. Cornosilice alla formazione dei frutti e quando iniziano ad ingrossarsi, circa due settimane prima della raccolta